🔴 ULTIM’ORA: INCREDIBILE SCOPERTA NEL CASO ROBERTA RAGUSA, RITROVATO IL SUO CORPO VICINO A…

Roberta, dove sei? Caso Ragusa: condannato il marito, resta il mistero  sulla donna

 

C’è una parola che, più di ogni altra, definisce il caso di Roberta Ragusa: “assenza”. È l’assenza di una madre dai sorrisi dei suoi figli, l’assenza di una donna dalla sua casa, l’assenza di un corpo in una tomba. E oggi, a oltre un decennio da quella gelida notte di gennaio, è anche l’assenza di un ultimo, brandello di speranza legale per l’uomo che di quella sparizione è stato riconosciuto come unico e definitivo colpevole: suo marito, Antonio Logli.

La notizia è di queste ore e chiude, forse per sempre, il capitolo giudiziario di uno dei casi di cronaca nera più strazianti d’Italia. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della difesa di Logli contro l’ordinanza della Corte di Appello di Genova, che aveva già respinto la sua richiesta di revisione della sentenza. Nessun nuovo processo. Nessuna riapertura. La condanna a vent’anni di carcere per omicidio volontario e distruzione di cadavere, pronunciata nel 2019, è ora più che mai sigillata nel granito.

Ma questa vittoria legale, per la famiglia di Roberta, ha il sapore amaro della cenere.

Mentre i titoli di alcuni video online, con cinico sensazionalismo, gridano al “ritrovamento del corpo”, la realtà è un pugno nello stomaco. No, Roberta Ragusa non è stata trovata. Il suo corpo è ancora disperso, inghiottito dal buio e dal silenzio del suo assassino. La giustizia ha fatto il suo corso, ma la pace non può ancora iniziare. Perché la giustizia, quella vera, quella umana, non può esistere senza un luogo per il lutto.

L’appello degli avvocati della famiglia, rinnovato oggi con la forza della disperazione, non è più per la verità processuale, ma per quella umana. È un appello rivolto direttamente a Logli: “Dica finalmente dove riposano i resti di Roberta”. Una richiesta che si scontra con il muro di gomma di un uomo che, anche di fronte all’evidenza schiacciante, ha scelto il silenzio.

 

Per capire l’orrore di questa storia, bisogna tornare indietro. Bisogna tornare a Gello di San Giuliano Terme, provincia di Pisa, alla notte tra il 13 e il 14 gennaio 2012. Roberta Ragusa è un’imprenditrice di 45 anni, una bella donna dagli occhi azzurri, madre di due figli, Alessia e Daniele. La mattina del 14, Antonio Logli, marito e socio nell’autoscuola di famiglia, ne denuncia la scomparsa. La sua versione è semplice, quasi banale: è andato a dormire, lei soffriva di amnesia dopo una caduta, la mattina al risveglio non c’era più. Forse, dice, si è allontanata volontariamente.

È l’inizio di un castello di bugie che gli inquirenti, pezzo dopo pezzo, smantelleranno con pazienza. Quello che emerge non è il ritratto di una famiglia felice, ma l’anatomia di un tradimento e di una crisi profonda. Emerge la figura di Sara Calzolaio, la babysitter dei figli, l’amica di Roberta, e da otto anni l’amante di Antonio. Roberta lo aveva scoperto. I suoi diari, le sue agende, raccontano di un disagio crescente, della sofferenza di una donna tradita che teme per il suo matrimonio e per la sua stabilità economica.

Omicidio di Roberta Ragusa: nessun nuovo processo, Logli resta in carcere |  Corriere.it

Il movente, secondo i giudici, è proprio lì: un mix tossico di passione e soldi. Logli non voleva lasciare l’amante, ma temeva le conseguenze economiche di una separazione da Roberta, con la quale gli interessi patrimoniali erano profondamente intrecciati. La notte della scomparsa, Roberta avrebbe affrontato il marito, forse minacciando di rivelare tutto.

L’alibi di Logli, quello di essere rimasto a letto, crolla miseramente grazie alla testimonianza di un vicino, Loris Gozi. L’uomo racconterà di aver visto, proprio quella notte, un uomo e una donna litigare furiosamente in strada, e di aver riconosciuto in quell’uomo Antonio Logli, fermo vicino alla sua auto in una stradina buia. È la crepa che fa crollare la diga.

Inizia così un processo indiziario difficilissimo, un “omicidio senza corpo”. Non c’è un’arma, non c’è una scena del crimine, e soprattutto, non c’è Roberta. C’è però la “Lupara Rosa”, come la definisce l’avvocato della famiglia. Un termine che evoca la mafia, ma che qui si declina al femminile: un femicidio dove la vittima non viene solo uccisa, ma cancellata, fatta sparire per garantirsi l’impunità e, forse, per infliggere una sofferenza ancora più profonda.

Il percorso legale è lungo e tortuoso, ma nel 2019 arriva la condanna definitiva della Cassazione: 20 anni per omicidio e distruzione di cadavere. Logli entra nel carcere di Massa.

Ma il dramma umano, quello che si consuma lontano dalle aule di tribunale, è se possibile ancora più crudele. Subito dopo la scomparsa di Roberta, Sara Calzolaio va a vivere nella casa di Gello, prendendo di fatto il posto della donna che era stata sua amica. Una convivenza che, agli occhi dell’Italia che segue la vicenda, appare come un’ulteriore, intollerabile profanazione. E poi ci sono i figli. Alessia e Daniele, all’epoca adolescenti, per anni difendono il padre. Credono alla sua innocenza, si stringono a lui e alla sua nuova compagna contro un mondo che accusa. È la tragedia nella tragedia: un uomo che, oltre alla moglie, ha forse sottratto ai suoi figli anche la capacità di vedere la verità.

L'omicidio di Roberta Ragusa

Dal carcere, Logli non mostra segni di pentimento. Anzi, la cronaca ci regala un altro dettaglio surreale: la proposta di matrimonio a Sara Calzolaio, fatta durante un colloquio, con un anello ricavato dal tappo di plastica di una bottiglia.

Oggi, quell’uomo ha esaurito le sue opzioni legali. L’ultimo “no” della Cassazione significa che la sua condanna è scolpita nella pietra. Come fa notare l’avvocato di parte civile, Logli beneficerà degli sconti di pena per buona condotta: 45 giorni ogni sei mesi. Potrà chiedere permessi premio, accedere al lavoro esterno. Uscirà prima.

 

Ma per la famiglia di Roberta Ragusa, il tempo si è fermato a quella notte del 2012. La giustizia ha condannato un uomo, ma non ha restituito una madre. Il pensiero, come dicono nel breve video che ha dato l’aggiornamento, “va a Roberta Ragusa, che possa riposare in pace”. Ma come si può riposare in pace senza un luogo di riposo?

L’ultimo atto di questa tragedia non è più nelle mani dei giudici, ma nella coscienza di un uomo seduto in una cella. Un uomo che, con una sola parola, potrebbe porre fine a un “lutto congelato” che dura da 11 anni. Ma quella parola, Antonio Logli, continua a non volerla pronunciare. E in questo silenzio assordante, il mistero di Roberta Ragusa rimane una ferita aperta nel cuore d’Italia.

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