Nella vita, a volte basta una scivolata per cambiare completamente direzione. Lo sa bene Flavio Cobolli, attuale numero 19 del mondo e nuova speranza del tennis italiano, che a soli 23 anni ha già conquistato due titoli ATP e un posto nei quarti di finale di Wimbledon. Ma quello che molti non sanno è che il tennis non è stato il suo primo amore.

⚽ Un terzino con il sogno della Serie A
“Era un difensore tenace, veloce, con visione del gioco. Giocava nel settore giovanile dell’AS Roma e aveva tutte le carte in regola per arrivare in Serie A” – racconta il padre, Stefano Cobolli, ex tennista e oggi coach personale del figlio.

Flavio, nato a Firenze ma cresciuto sportivamente a Roma, era un terzino destro promettente. Giocava ogni giorno, sognando di indossare un giorno la maglia giallorossa della prima squadra. Tennis? Solo un hobby secondario, qualcosa che faceva con il padre durante le vacanze.
Ma a 14 anni, durante una partita in un torneo giovanile, Flavio scivola su un campo bagnato e subisce una lieve distorsione alla caviglia. Non era nulla di grave, ma abbastanza per tenerlo lontano dai campi da calcio per qualche settimana.
“L’ho portato con me in un circolo tennis vicino casa per farlo muovere un po’”, racconta il padre.
“Ed è lì che ho visto qualcosa nei suoi occhi. Era concentrato, determinato, quasi… libero.”
In quella pausa forzata dal calcio, Flavio riscopre il tennis, ma stavolta con una fame diversa. “Mi è piaciuto il fatto che in campo eri solo tu contro te stesso – nessuno poteva coprirti se sbagliavi. Era una sfida pura”, ha raccontato in un’intervista recente.
🎾 L’inizio di una nuova carriera
Nel giro di un anno, Flavio smette con il calcio e si dedica totalmente al tennis. Inizia a giocare tornei nazionali, poi internazionali. I primi risultati arrivano presto: nel 2020, vince il Roland Garros Junior in doppio, e nel 2021 entra nei primi 250 del mondo.
Ma è nel 2025 che il suo nome esplode davvero.
🏆 Il torneo della svolta… per una ragione speciale
Durante l’estate del 2025, Flavio partecipa al torneo ATP 500 di Amburgo. Non era tra i favoriti: veniva da una stagione altalenante, con ottimi match ma anche eliminazioni precoci. Ma quella settimana, Flavio sembrava un uomo in missione.
Ha battuto tre teste di serie, tra cui Andrey Rublev in finale, conquistando il trofeo più importante della sua carriera. Ma è stato solo dopo il match che ha rivelato il motivo speciale dietro la sua determinazione.
“Mia nonna è venuta a mancare due settimane fa. Era la prima persona che ha creduto in me, anche quando nessuno capiva perché avessi lasciato il calcio. Questo torneo era per lei.”
I tifosi sono rimasti senza parole. Nessuno sapeva del lutto che il giovane stava affrontando. Durante le interviste precedenti, aveva sempre il sorriso sulle labbra, parlava del prossimo avversario, mai di sé. Il pubblico ha scoperto un lato umano, profondo di un tennista che sembrava solo giovane e talentuoso.
Il giorno dopo, migliaia di tifosi italiani hanno condiviso il video della sua dedica, accompagnato da cuori, bandiere italiane e la frase:
“Non giochi solo per vincere, giochi per ricordare.”
👨👦 Una famiglia, una missione
Il rapporto tra Flavio e suo padre è al centro di questa storia. Stefano non è solo il suo allenatore, ma anche il suo punto fermo. I due si allenano insieme ogni giorno, ma più che una relazione coach-giocatore, sembra quella tra due amici legati da una passione pura.
“Ogni tanto discutiamo in campo, com’è normale. Ma poi torniamo a casa, ceniamo in silenzio, e il giorno dopo ripartiamo più uniti di prima,” ha detto Flavio con un sorriso.
✨ Conclusione: un campione diverso
In un’epoca dove molti atleti sembrano robot programmati per vincere, Flavio Cobolli si distingue per la sua autenticità, per il suo percorso non lineare, e per il modo in cui gioca: con il cuore in mano.
Dalla scivolata su un campo di calcio fino al trofeo di Amburgo, passando per il dolore privato che ha trasformato in forza, Flavio ha dimostrato che i grandi campioni non si vedono solo dal punteggio, ma anche dal modo in cui affrontano la vita.
E chissà, forse un giorno, tornando su quel campo della Roma dove tutto è iniziato, dirà:
“Grazie a quella scivolata, ho trovato il mio vero posto.”