In una rara convergenza tra l’intuito di Wall Street e il pragmatismo della Silicon Valley, il mondo finanziario è rimasto scosso questa settimana dopo la risposta pubblica di Elon Musk, CEO di Tesla, agli allarmi lanciati dal miliardario investitore Ray Dalio riguardo al declino dell’influenza globale dell’America. Mentre Dalio aveva emesso un cupo monito sul crollo del dominio statunitense, è stata la schietta ammissione di Musk a provocare un vero shock: la Cina, non gli Stati Uniti, è ora il vero motore globale dei consumi, e nessuna combinazione di potere di spesa americano o europeo può competere con essa.

La discussione è iniziata con la pubblicazione da parte di Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Associates e voce autorevole di macroeconomia globale, di un saggio intitolato “È troppo tardi: i cambiamenti stanno arrivando”. In esso, Dalio ha dichiarato che l’ordine mondiale post Seconda Guerra Mondiale, fondato sulla potenza economica e politica degli Stati Uniti, è in procinto di crollare.

Dalio ha evidenziato squilibri commerciali senza precedenti, un eccesso di spesa pubblica e un drammatico spostamento della fiducia globale lontano dalle istituzioni statunitensi. “Siamo alla fine di un lungo ciclo di debito e di impero,” ha avvertito. “Non è possibile continuare a consumare più di quanto produciamo senza innescare una resa dei conti.”

Il fulcro della tesi di Dalio si basa sull’assunto critico che gli Stati Uniti rimangano il cuore della domanda globale, il consumatore di ultima istanza. Elon Musk ha sfidato direttamente questa idea con una risposta netta su X, la piattaforma precedentemente nota come Twitter.
“Correzione,” ha scritto Musk. “La Cina è un consumatore molto più grande di beni manufatti rispetto agli Stati Uniti. Quest’anno, i consumatori cinesi acquisteranno più auto di quante ne compreranno insieme Stati Uniti ed Europa.”
Per una figura così patriottica come Musk — le cui iniziative sono state costruite prevalentemente per il mercato statunitense — questa ammissione è significativa. Essa segnala un riconoscimento senza compromessi che il baricentro economico globale si è spostato verso est, e potrebbe non tornare mai indietro.
Mentre Dalio interpreta la sua preoccupazione come un allarme che richiede azioni e possibili rimedi, Musk lancia una dichiarazione di una realtà ormai irreversibile: la transizione è già avvenuta.
I dati sottostanti confermano quanto affermato da Musk. La spesa delle famiglie in Cina è in costante aumento. Secondo CEIC, la spesa annua pro capite è salita a 4.802,36 dollari a dicembre 2024, rispetto ai 4.660,37 dollari dell’anno precedente.
Ancora più significativo, le previsioni di Statista indicano che il reddito disponibile pro capite delle famiglie cinesi raggiungerà i 6.510 dollari nel 2025. La spesa totale dei consumatori nel paese è prevista a quota 7,73 trilioni di dollari nello stesso anno, segnando non solo crescita, ma un slancio che supera quello delle economie occidentali sommate.
Al contrario, gli Stati Uniti affrontano molte difficoltà. Il debito nazionale è ai massimi storici, la politica monetaria è limitata dalla pressione inflazionistica e la disfunzione politica continua a minare la fiducia interna e internazionale.
Dalio sostiene che presumere che gli Stati Uniti possano continuare a indebitarsi all’infinito con l’estero — pagando poi i creditori con un dollaro forte e stabile — è “ingenuo.” Il mondo si sta muovendo verso un disaccoppiamento, con molti paesi che cercano alternative al sistema basato sul dollaro che ha prevalso dal Bretton Woods.
Ancora più allarmante del dato economico è la divergenza filosofica tra i due uomini. Dalio invoca una “ingegneria calma, analitica e coordinata” per gestire il declino americano e prevenire un collasso.
Crede che ci sia ancora tempo per riequilibrare il sistema se i protagonisti agiranno con urgenza e unità. Musk, invece, sembra suggerire che il punto di non ritorno sia già passato. Il suo commento breve ma incisivo lascia poco spazio all’ottimismo riformista. Per lui, il mondo non sta più discutendo se la Cina abbia preso il comando — sta semplicemente adattandosi a quel fatto.
Questo cambiamento ha profonde implicazioni geopolitiche. Se gli Stati Uniti non sono più la base globale di consumo che sostiene le industrie multinazionali, il loro potere nelle negoziazioni internazionali — su commercio, valuta e difesa — inevitabilmente diminuirà.
I mercati emergenti, in particolare in Asia, guarderanno sempre più a Pechino piuttosto che a Washington per l’allineamento economico. Le ripercussioni potrebbero coinvolgere tutto, dalla riallocazione delle catene di approvvigionamento al futuro delle sanzioni e del peso diplomatico.
Per i politici americani, la conversazione tra Dalio e Musk è un campanello d’allarme da due prospettive radicalmente diverse. Una è un allarme calcolato da un finanziere esperto dei cicli storici; l’altra è un miliardario tecnologico noto per plasmare il futuro, non per osservarlo. Eppure entrambi dicono la stessa cosa: i giorni dell’America come centro globale incontrastato sono contati.
E mentre molti nell’establishment politico si aggrappano ancora al mito dell’eccezionalismo americano, il mercato parla già un linguaggio differente. I flussi di investimento, le rotte commerciali e le tendenze dei consumatori si stanno spostando verso la Cina, non come prospettiva futura, ma come realtà presente.
L’impero automobilistico di Musk, da tempo dipendente dalla produzione e dalle vendite cinesi, è la prova vivente di questo cambiamento. La sua dichiarazione non era solo un’opinione, ma un riflesso del suo risultato economico.
Né Dalio né Musk credono che gli Stati Uniti siano destinati all’irrilevanza, ma la strada per tornare al dominio, se esiste, richiederà un doloroso esame di coscienza, sacrifici strategici e una rinnovata visione globale dell’America.
Come dice Dalio, l’obiettivo dovrebbe essere una “bella deleveraging,” in cui i debiti insostenibili vengono smantellati con il minimo caos possibile. Ma se esista la volontà politica o la chiarezza istituzionale per attuare tale trasformazione resta un interrogativo aperto.
Nel frattempo, la Cina avanza. Con una classe media in espansione, infrastrutture rapidamente modernizzate e un governo pronto a perseguire politiche industriali a lungo termine, la nazione non sta solo recuperando terreno — sta riscrivendo le regole.
I leader americani ed europei farebbero bene ad ascoltare le parole di Elon Musk, un uomo che raramente loda i rivali, ma che ora riconosce apertamente che l’Est ha superato l’Occidente in uno degli ambiti più cruciali del potere economico: il consumo.
L’era dell’egemonia americana non sta finendo con un’esplosione o un gran clamore — sta lentamente scivolando via, misurata nelle vendite di automobili, nei bilanci familiari e nei grafici della crescita del PIL. Il tweet di Musk, breve ma potente, ha implicazioni sismiche.
Per chi ancora vive nell’illusione che gli Stati Uniti siano il motore globale dei consumi, il momento della verità è arrivato. E questa volta, arriva da colui che ha contribuito a costruire il futuro elettrico — solo per vederlo accelerare altrove.