«Papà non sarà con te per sempre, ma tu mi hai fatto soffrire», la voce di Tadej Pogačar tremava, rotta dall’emozione mentre stringeva il microfono tra le mani. In un angolo nascosto, dove nessuno poteva vederlo, suo padre lo aveva sempre guardato in silenzio, osservandolo dall’ombra. Dietro l’aureola del corridore numero 1, oggi venerato come leggenda, c’era l’immenso sacrificio di un padre che aveva dato tutto per il figlio. E quando Tadej Pogačar ha confessato che erano state le sue scelte a peggiorare la malattia del padre, l’intero mondo del ciclismo è scoppiato in lacrime…

L’episodio finale della serie Netflix «POGAČAR» è andato in onda ieri sera. Otto minuti. Solo otto minuti di Tadej seduto su una sedia, luce fredda, nessuna musica. Il silenzio della sala montaggio era tale che si sentiva il battito del suo cuore attraverso il microfono.
La telecamera lo inquadra da vicino. Gli occhi sono rossi. «Ho sempre pensato che il ciclismo fosse il mio sacrificio», inizia. «Ma il vero sacrificio lo ha fatto mio padre. E io, senza saperlo, l’ho ucciso un po’ alla volta».
Marino Pogačar, ex operaio di una fabbrica di ceramiche a Komenda, aveva scoperto un tumore al polmone nel 2017. I medici gli avevano dato cinque anni. Lui non disse nulla al figlio diciottenne che stava esplodendo nel professionismo.
Ogni mattina, prima dell’alba, Marino guidava per ore per portare Tadej agli allenamenti in Italia. Tornava a casa, tossiva sangue nel lavandino, poi sorrideva quando il figlio rientrava la sera. «Papà, sei stanco?», «No, no, tutto bene».
Nel 2020, quando Tadej vinse il primo Tour, Marino era già sotto chemioterapia. Guardò la cronometro decisiva da solo in ospedale, con la flebo al braccio. Telefonò al figlio: «Bravo, campione». Poi pianse per mezz’ora perché non poteva abbracciarlo.
Tadej continua a parlare, la voce sempre più bassa. «Nel 2021 volevo il bis. Ero ossessionato. Gli chiedevo di venire a tutte le corse. Lui non diceva mai di no. Veniva, stava in piedi ore sotto il sole, tossiva, ma sorrideva».
Durante il Tour 2021 Marino perse venti chili. I medici lo supplicarono di restare a casa. Lui rispose: «Mio figlio ha bisogno di me al traguardo». Arrivò a Parigi con l’ossigeno portatile nascosto nello zaino. Tadej non lo sapeva.
Nel 2022 la malattia peggiorò. Tadej era nel ritiro in altura a Sierra Nevada. Il padre gli mandava messaggi ogni giorno: «Pedala forte». In realtà era già in cure palliative. Morì il 14 novembre 2022, tre giorni dopo la fine della stagione.
Tadej si ferma. Piange senza vergogna. «Ho capito tutto troppo tardi. Le mie vittorie gli hanno accorciato la vita. Volevo che fosse orgoglioso, ma l’ho ucciso con la mia ambizione. Gli ho rubato gli ultimi anni».
Nella sala di Lubiana dove è stata proiettata la première, non volava una mosca. Persino i giornalisti più duri singhiozzavano. Urška, seduta in prima fila, stringeva la mano della madre di Tadej. Nessuno osava applaudire.
Poi Tadej alza lo sguardo. «Papà mi diceva sempre: “Vinci per te, non per me”. Io non l’ho ascoltato. Ma ora lo so. Ogni pedalata da oggi sarà per chiedere scusa a lui, lassù, che sicuramente mi sta guardando».
Lo schermo diventa nero. Compaiono solo due righe bianche: «A Marino Pogačar, che ha dato tutto perché suo figlio potesse volare. 1965-2022».
Netflix ha rivelato che Tadej ha voluto che l’intero incasso della première mondiale (oltre 800 mila euro) andasse alla clinica oncologica di Lubiana che ha curato suo padre. Nessuna pubblicità, nessuna sponsorizzazione.
Oggi in Slovenia è giorno di lutto cittadino a Komenda. La fabbrica dove lavorava Marino ha fermato la produzione per un minuto di silenzio. La scuola elementare che frequentava Tadej ha intitolato il campo sportivo a nonno Marino.
Persino i rivali hanno reagito. Jonas Vingegaard ha postato una foto di loro due sul podio con la scritta: «Sei grande dentro e fuori dalla bici, Tadej». Remco Evenepoel ha cancellato ogni vecchio post polemico e scritto solo: «Rispetto».
Tadej non ha rilasciato interviste. È salito in macchina con Urška e la madre ed è tornato al paesino natale. Hanno lasciato un mazzo di fiori sulla tomba di Marino. Poi sono entrati nella vecchia casa dove tutto è cominciato.
Stasera, per la prima volta dopo anni, Tadej non si allenerà. Ha detto ai compagni di squadra: «Domani pedalo per papà, ma oggi ho bisogno di stare con lui». E nessuno ha osato contraddirlo.
Il mondo del ciclismo non parlerà di watt, di strategie o di rivalità per molto tempo. Parlerà solo di un figlio che ha scoperto troppo tardi quanto costa essere un fenomeno. E di un padre che ha pagato il prezzo più alto per amore.