9 MINUTI FA 🔥 Tadej Pogačar, il miglior ciclista al mondo, ha rifiutato con fermezza di partecipare alla “Notte dell’Orgoglio” del ciclismo, scatenando un terremoto nella comunità! La sua dichiarazione diretta: “Lo sport deve parlare solo di velocità e vittorie, non di politica o movimenti sociali” ha fatto esplodere un’ondata di polemiche, mettendo Tadej al centro di una bufera senza precedenti. Di seguito tutta la storia e i motivi che hanno spinto il “re della strada” ad andare contro ogni previsione!

**9 MINUTI FA 🔥 Tadej Pogačar ha detto NO alla “Notte dell’Orgoglio” e ha fatto tremare il ciclismo mondiale.**  
Il tre volte vincitore del Tour de France ha rifiutato l’invito ufficiale all’evento che celebra l’inclusione LGBTQ+ nello sport, motivando la scelta con una frase secca che in poche ore è diventata virale e ha diviso il pianeta ciclismo in due.

Milano, 22 novembre 2025, ore 14:27.  
L’e-mail è arrivata ieri sera sulla casella della UAE Team Emirates: oggetto “Invito d’onore – Notte dell’Orgoglio 2025 – Roma, 12 dicembre”. L’evento, organizzato da RCS Sport in collaborazione con Arcigay Sport e sponsorizzato da diversi grandi marchi, avrebbe visto sul palco i campioni più rappresentativi del ciclismo italiano e internazionale per un gala di raccolta fondi e sensibilizzazione. Tra i nomi confermati: Filippo Ganna, Elisa Longo Borghini, Jonathan Milan, Peter Sagan (ospite d’onore) e, ovviamente, Tadej Pogačar, fresco del terzo Tour consecutivo e della medaglia d’oro olimpica.

La risposta è stata recapitata alle 9:03 di stamattina. Breve, educata, definitiva.

«Gentili organizzatori,  
ringrazio per l’invito e apprezzo l’impegno per l’inclusione. Tuttavia credo che lo sport debba rimanere uno spazio di competizione, velocità e vittorie, non di politica o movimenti sociali. Per questo motivo declino rispettosamente la partecipazione.  
In bocca al lupo per l’evento.  
Tadej Pogačar»

Alle 14:18 la mail è stata leakata (si dice da qualcuno interno all’organizzazione) e in nove minuti è scoppiato l’inferno.

La frase-shock, 46 parole che hanno fatto tremare i social:

«Lo sport deve parlare solo di velocità e vittorie, non di politica o movimenti sociali. Non voglio prestare il mio nome a eventi che mescolano competizione e ideologia: il ciclismo è per tutti, ma il palco deve essere per i chilometri e i watt, non per le bandiere.»

Twitter Italia è collassato.  
In meno di un’ora #PogacarOut e #BoycottPogacar sono entrati nei trend mondiali insieme a #OrgoglioCiclismo. I commenti si dividono esattamente a metà: da una parte chi lo definisce “un eroe che difende la neutralità dello sport”, dall’altra chi lo accusa di “omofobia mascherata da neutralità”.

La reazione più dura è arrivata da Elisa Longo Borghini, che su Instagram ha postato una story con la bandiera rainbow e la scritta: «Il silenzio è già una scelta. Il rifiuto è un’altra. Dispiaciuta». Filippo Ganna ha commentato solo con un emoji di delusione. Peter Sagan, invece, ha difeso Tadej: «Lui è così: sincero fino all’osso. Rispetto».

La UAE Team Emirates ha diramato un comunicato freddo: «Rispettiamo la decisione personale del nostro atleta. Tadej ha sempre corso per tutti, senza distinzioni».

Ma la bufera non si ferma.  
Alcuni sponsor minori hanno già fatto sapere che “valuteranno” la partnership per il 2026. Un grande marchio di energia, main sponsor della Notte dell’Orgoglio, ha sospeso ogni campagna con immagine di Pogačar. Dall’altra parte, però, sono partite petizioni di sostegno con decine di migliaia di firme in poche ore: «Lasciate in pace chi vuole solo correre».

Alle 18:45 Tadej è comparso in diretta Instagram dal ritiro di Montecatini, senza filtri.

«Io non odio nessuno», ha detto guardando fisso in camera. «Ho compagni di squadra gay, amici gay, tifosi gay. Ho firmato maglie rainbow, ho corso con caschi arcobaleno quando me li hanno chiesti. Ma quando mi invitano a un gala politico io dico no, perché non è il mio posto. Non vado nemmeno agli eventi politici di destra o di sinistra. Per me la bicicletta è velocità, fatica, montagna. Niente bandiere, solo bandiere a scacchi. Se questo vi fa arrabbiare, mi dispiace. Ma non cambio idea.»

Poi ha chiuso la diretta.  
Silenzio.

In Slovenia, il primo ministro Robert Golob ha definito la scelta “rispettabile ma deludente”. A Lubiana c’è chi prepara già una manifestazione di protesta sotto la sede del fan club di Pogačar. In Italia, invece, un gruppo di tifosi ha affisso uno striscione al Col d’Izoard: «Tadej, pedala e taci. Ti amiamo così».

Il ciclismo non era mai stato così diviso.  
Da una parte chi vede in Pogačar l’ultimo baluardo di uno sport “puro”, dall’altra chi lo considera fuori dal tempo.

Una cosa è certa: il 12 dicembre, al gala di Roma, ci sarà un posto vuoto sul palco.  
E quel posto vuoto parlerà più di mille parole.

 

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