“Mi pento di aver partecipato agli European Championships… e sono fortunato ad aver saltato i Mondiali 2025.” La confessione improvvisa di Jonas Vingegaard ha scosso il mondo del ciclismo. Il vincitore della Vuelta ha rivelato di essere stato così sfinito da non riuscire ad allenarsi per due settimane dopo la gara. E il motivo per cui ha evitato per anni la nazionale danese… è finalmente venuto alla luce.
La confessione di Jonas Vingegaard è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Il ciclista danese, due volte vincitore del Tour de France, ha aperto il cuore in un’intervista esclusiva. Ha ammesso di rimpiangere la partecipazione ai Campionati Europei di ciclismo su strada del 2025. E di sentirsi fortunato per aver saltato i Mondiali in Rwanda.
Quelle parole hanno riecheggiato nel paddock del ciclismo professionistico. Vingegaard, idolo nazionale in Danimarca, ha spiegato il suo calvario post-Vuelta a España. Dopo aver conquistato la maglia rossa, il suo corpo ha detto basta. Due settimane senza pedalare, un esaurimento totale che lo ha costretto al riposo forzato.
Il mondo dello sport ha trattenuto il fiato. Jonas, sempre stoico e riservato, ha rivelato un lato umano e fragile. La sua voce, calma ma carica di emozione, ha descritto notti insonni e muscoli che non rispondevano. Un campione che, per la prima volta, confessa i limiti del corpo umano sotto pressione estrema.
La reazione dei fan è stata immediata e commossa. Sui social, migliaia di messaggi di supporto hanno invaso le bacheche. “Jonas, sei umano, riposa e torna più forte”, scrive un tifoso danese. Altri criticano il calendario sovraccarico, chiedendo riforme per proteggere i corridori.
I media ciclistici hanno amplificato la notizia in poche ore. Da Cyclingnews a Gazzetta dello Sport, tutti ne parlano. La confessione non è solo personale: solleva interrogativi sul benessere degli atleti. In un’era di Grand Tour ravvicinati, quanto può durare un corpo?
Vingegaard ha vinto la Vuelta 2025 con maestria. Tre tappe in maglia Visma-Lease a Bike, un duello epico con João Almeida. L’ultima salita, Bola del Mundo, lo ha visto trionfare in solitaria. Ma quel successo ha un prezzo: l’esaurimento fisico e mentale.
Ricordiamo la stagione del danese. Secondo al Tour de France dietro Tadej Pogačar, un ritorno miracoloso dopo infortuni passati. La Vuelta era il suo obiettivo, e l’ha centrato. Eppure, quel finale glorioso ha lasciato cicatrici invisibili, come ha confessato ora.
Dopo la gara spagnola, Jonas è tornato in Danimarca. Pensava di recuperare velocemente, ma il corpo ha tradito. “Non riuscivo a pedalare, era impossibile”, ha detto. Due settimane di inattività, la prima volta nella sua carriera da pro.
Quel periodo buio ha coinciso con i preparativi per i Mondiali. I Campionati del Mondo UCI 2025 a Kigali, Rwanda, promettevano un circuito infernale. Altezze elevate, salite ripide: un test per i superman del pedale. Vingegaard sapeva di non essere pronto.
Ha scelto di declinare l’invito della nazionale danese. Una decisione sofferta, ma razionale. “Sarei stato un peso per la squadra”, ha ammesso. Meglio preservare energie per il futuro, che rischiare un flop umiliante in Africa.
La nazionale danese ha rispettato la scelta. Il CT Michael Mørkøv ha lodato la franchezza di Jonas. “È un leader, sa quando fermarsi”, ha dichiarato. Pedersen e altri compagni hanno corso senza di lui, ma il vuoto era palpabile.
I Mondiali sono andati avanti senza Vingegaard. Pogačar ha dominato, come da copione. Il circuito di Kigali, con i suoi 15 km ripetuti e l’estensione di 42 km, ha spezzato molti sogni. Jonas, da casa, ha guardato e tirato un sospiro di sollievo.
Ma non è finita lì. Vingegaard ha deciso di correre gli Europei, un esperimento. I Campionati Europei UEC 2025 in Francia, Drôme e Ardèche. Una gara di 202 km da Privas a Guilherand-Granges, con salite selettive. Pensava di testare la forma.
La vigilia era carica di aspettative. Primo impegno in nazionale da pro per Jonas. Contro Pogačar, Evenepoel, Almeida: un dream team rivale. I media danesi lo dipingevano come il favorito morale, fresco di Vuelta.
Il giorno della gara, 5 ottobre, tutto è crollato. Partito con il pettorale n.1, Vingegaard ha retto solo 109 km. Droppato dal gruppo principale, ha pedalato da solo, esausto. Ha abbandonato a 86 km dal traguardo, testa bassa.
Le immagini di quel DNF hanno scioccato i tifosi. Jonas, il climber invincibile, sembrava un’ombra di sé. Un motard TV lo ha affiancato, e lui ha scosso la testa in segno di resa. Fine stagione con un’amarezza profonda.
Subito dopo, le prime spiegazioni. “Speravo in di più, ma oggi non ce l’avevo”, ha detto a Feltet.dk. Nessuna scusa, solo onestà. Bjarne Riis, ex campione danese, ha ipotizzato mancanza di preparazione. Ma Jonas ha aspettato il momento giusto per parlare.
Ora, nelle interviste post-stagione, arriva la verità nuda e cruda. “Mi pento di aver partecipato agli Europei”, confessa. “Ero troppo sfinito, non allenato a sufficienza”. Quelle parole pesano come macigni nel cuore dei fan.
E sul saltare i Mondiali: “Sono fortunato ad averlo fatto”. Immagina il disastro a Kigali, con altitudini e caldo torrido. “Sarebbe stato un incubo peggiore”, ammette. Una scelta saggia, che gli ha evitato umiliazioni maggiori.
Ma il fulcro della confessione è un’altra. Per anni, Vingegaard ha evitato la nazionale danese. Critiche feroci: “Non gli importa del paese”, dicevano i detrattori. Ora, rivela il motivo nascosto: l’esaurimento cronico dopo le grandi corse.
Dopo Tour e Vuelta, il serbatoio è vuoto. “Non è che non mi importi”, spiega Jonas. La sua voce trema leggermente. “È che sono completamente esausto, non ho più niente da dare”. Quelle parole chiariscono anni di malintesi.
La frase clou: “Non è che non mi interessi, ma sono completamente esausto”. Un’ammissione che zittisce i critici. Vingegaard vuole la maglia danese, ma non a scapito della salute. “Ho provato agli Europei, e ho dimostrato il perché delle assenze passate”.
Il danese spera che ora capiscano. “Invece di dire ‘Jonas non vuole la nazionale’, vedano la ragione”. È un appello al rispetto per il sacrificio atletico. In un ciclismo sempre più estremo, la sua voce è un monito prezioso.
La carriera di Vingegaard è un romanzo epico. Nato nel 1996 a Hillerslev, da una famiglia modesta. Inizio tardivo nel ciclismo, ma talento puro. Nel 2019 entra in Jumbo-Visma, e il resto è storia: Tour 2022 e 2023, Vuelta 2025.
Rivalità con Pogačar, il duello del secolo. Al Tour 2025, Jonas secondo per 44 secondi. Ma la Vuelta, sua prima vittoria lì, lo ha logorato. Tre tappe: Valdezcaray, Angliru, Bola del Mundo. Momenti di genio assoluto.
Visma-Lease a Bike lo sostiene incondizionatamente. Il DS Grischa Niermann: “Jonas è il nostro motore, ma deve riposare”. La squadra pianifica un 2026 con Giro d’Italia come obiettivo. Magari la tripletta Grand Tour.
Per la nazionale, Jonas guarda avanti. “Voglio riprovarci, ma preparato bene”. Niente Tour e Vuelta insieme, se punta a Mondiali o Europei. “Nel 2026, i Mondiali? Dipende dal calendario, ma sì”.
I fan danesi, feriti dal passato, ora lo abbracciano. “Sei il nostro eroe, con o senza maglia rosso-blu”, twitta un supporter. La confessione ha umanizzato Vingegaard, rendendolo più vicino. Non più un dio, ma un guerriero.
Il ciclismo professionistico è un tritacarne. Calendari folli, pressioni mediatiche, infortuni. Casi come Bernal o Froome insegnano: il burnout è reale. Vingegaard è il primo top rider a dirlo apertamente, aprendo un dibattito.
Esperti come il dottor Michele Ferrari, controverso ma autorevole, confermano: “Dopo due GT, il recupero richiede mesi”. Jonas ha pedalato 70 giorni di gara nel 2025. Numeri da incubo per un climber da alta quota.
Le federazioni devono ascoltare. L’UCI discute riforme: limiti ai GT per corridore? Jonas è il poster boy per il cambiamento. La sua confessione potrebbe accelerare discussioni a Losanna.
Intanto, in Danimarca, Vingegaard si gode la offseason. Vacanze in famiglia, con la moglie e i figli. “Ho bisogno di ricaricarmi mentalmente”, dice. Niente bici per settimane, solo vita normale.
Prospettive per il 2026? Ambiziose. Giro d’Italia come primo GT, poi Tour. E chissà, una nazionale da leader. “Voglio l’arcobaleno, ma alle mie condizioni”, promette.
La confessione ha scosso il mondo, sì. Ma ha anche ispirato. Giovani ciclisti vedono in Jonas non solo il campione, ma l’uomo che osa dire “basta”. Un messaggio di resilienza e auto-cura.
In conclusione, Vingegaard emerge più forte. La sua onestà è vittoria vera. Il ciclismo ha bisogno di eroi umani. E Jonas, esausto ma determinato, è pronto a pedalare verso nuovi orizzonti. Con la Danimarca nel cuore, stavolta senza rimpianti.