L’ipocrisia svelata in diretta. Paolo Del Debbio ferma Karima Moual e la accusa di indignarsi solo quando parla la destra. Il conduttore denuncia un sistema mediatico che usa la censura del ridicolo per silenziare chi non si allinea al pensiero dominante. Ha parlato di Merkel, Sarkozy e Macron, smascherando la doppia morale della sinistra. Lo studio esplode in un applauso mai visto. Un momento di televisione che sta facendo discutere l’Italia intera. Non perderti la cronaca di uno scontro epico. Trovi l’articolo completo nel primo commento.

Il silenzio, a volte, può essere più assordante di mille grida. Ma in televisione, in un talk show politico infuocato come “Dritto e Rovescio”, è l’esatto contrario. È la parola calibrata, la frase affilata come una lama chirurgica, che squarcia il rumore di fondo del solito dibattito e costringe tutti all’ascolto. È quello che è successo in uno studio televisivo diventato, per una manciata di minuti, un’arena. Da una parte, la giornalista Karima Moual, pronta a lanciare un’accusa frontale. Dall’altra, il conduttore Paolo Del Debbio, che in un lampo ha smesso i panni del moderatore neutrale per diventare il protagonista assoluto di un duello già virale.

Tutto ha inizio in un clima già teso. La discussione segue il copione stanco della politica italiana: attacchi alla maggioranza, difese dell’opposizione. Karima Moual prende la parola e scaglia la sua accusa contro il governo Meloni. Il pretesto è un tweet, ma le conclusioni sono da apocalisse istituzionale. Cita il patron di X (ex Twitter), Elon Musk, e un suo tweet provocatorio, difeso pubblicamente dal vicepremier Matteo Salvini. Per la giornalista, questa difesa non è una semplice opinione, ma la prova provata di una “deriva istituzionale”, un comportamento irresponsabile, una minaccia diretta alla nostra democrazia. L’allarme è lanciato, il sasso è gettato nello stagno.

La discussione sembra incanalata nel solito vicolo cieco dello scontro destra contro sinistra. Ma è qui che accade l’imprevisto. Paolo Del Debbio, con quella calma che spesso prelude a una tempesta trattenuta, interviene. E non lo fa per moderare, ma per colpire.

“Karima, non dica banalità”, esordisce, e il clima nello studio cambia all’istante. L’aria si fa elettrica. “Non portiamo la conversazione sui binari sbagliati”. Del Debbio afferra il discorso e lo ribalta completamente. Con una lucidità glaciale, sposta il focus da Musk e Salvini a un quadro molto più ampio, e per l’accusatrice, molto più scomodo. “Qui non parliamo di Musk”, continua, “stiamo parlando dell’ipocrisia europea. Quando il potere era in mano alla sinistra, nessuno parlava di ingerenze, nemmeno quando Francia e Unione Europea pesavano come macigni sulla politica italiana”.

È un pugno diretto. Del Debbio non si ferma al tweet, ma spalanca il libro della storia recente, puntando il dito sulla narrazione dominante e sulla doppia morale che, a suo dire, decide cosa è scandalo e cosa no, unicamente in base a chi siede al governo.

La tensione è palpabile. Il pubblico tace, gli ospiti sono ammutoliti. Karima Moual prova a ribattere, a difendere la sua posizione, ma Del Debbio è un fiume in piena. Con un tono fermo, che non ha bisogno di alzare la voce per sovrastare, la spezza. “Quando Merkel e Sarkozy ridevano di Berlusconi, quando Macron pontificava sulle nostre elezioni”, incalza, “nessuno parlava di interferenze. Nessuno urlava al golpe. Ma ora che c’è Giorgia Meloni al comando, improvvisamente ogni parola, ogni tweet, diventa una minaccia alla democrazia. È ridicolo!”.

DEL DEBBIO METTE KO TUTTO L'ODIO DI KARIMA MOUAL PER GIORGIA MELONI E  MATTEO SALVINI - YouTube

Moual tenta di giustificarsi, sostenendo che le critiche ci furono anche allora. Ma Del Debbio gela la sua difesa. “Non confondiamo le forme con la sostanza. Le critiche non cancellano le ingerenze reali. E se allora vi andava bene, non potete presentarvi oggi come i salvatori della democrazia solo perché non vi piace chi governa”.

Il discorso si è spostato. Non si parla più del governo Meloni, ma della coerenza e della libertà di parola. Ed è qui che Del Debbio affonda un altro colpo, ancora più profondo, diretto non solo alla sua interlocutrice ma a un intero sistema mediatico. “In Italia l’opinione è libera solo se conforme a un certo pensiero”, dichiara, e le sue parole cadono pesanti. “Se difendi Meloni o Salvini, allora sei un ignorante o un fascista. Se attacchi la destra, diventi un brillante intellettuale”.

In quel preciso momento, lo studio esplode. Un applauso fragoroso, vero, “di pancia”, raro da vedere in trasmissioni così controllate, si leva dal pubblico. È la misura di un messaggio che è arrivato dritto a segno, che ha toccato un nervo scoperto in migliaia di spettatori. Del Debbio ha dato voce a un sentimento diffuso, a una frustrazione che covava sotto la cenere.

Il confronto sale di livello. Il conduttore non sta più solo difendendo una posizione politica; sta denunciando un intero sistema che, a suo dire, costruisce narrazioni sbilanciate e selettive. Cita Bruxelles, Parigi, Berlino: “Quando governavano gli amici, tutto taceva. Silenzio tombale. Ma se Musk twitta, allora apriti cielo. Quelle non erano ingerenze? Quelle non erano minacce alla sovranità?”.

Karima Moual tenta un ultimo intervento, ma ogni parola le cade nel vuoto, sovrastata dalla nitidezza tagliente del discorso del conduttore. Il momento che infiamma definitivamente lo studio arriva con un sorriso tagliente, carico di un’ironia che sa di sfida. Del Debbio guarda la sua interlocutrice e dice: “Karima, il problema non è Musk. Il problema è che vi indignate solo quando a parlare è la destra. Questa sarebbe la vostra idea di libertà?”.

È il colpo del KO. Il pubblico deflagra in un secondo applauso, ancora più forte. Il volto della giornalista è tirato, contrariato. È stata messa all’angolo, umiliata non con l’insulto, ma con la logica stringente di un’accusa di ipocrisia.

Ma Del Debbio non affonda colpi personali. Anzi, amplia il discorso e lo dirige verso tutti, puntando il riflettore su un pilastro della democrazia: il rispetto del dissenso. “Io non sono tifoso né di Meloni, né di Salvini, né di Musk”, precisa, quasi a volersi elevare al di sopra della mischia. “Ma difendo il diritto di chiunque a dire ciò che pensa, senza essere insultato o cancellato”.

È l’apice del suo intervento, il momento che segna le coscienze. “Oggi non serve più la censura con la scure”, afferma, e la sua diagnosi è spietata. “Basta ridicolizzare. Basta una battuta. E chi non si allinea viene marchiato, deriso, silenziato. È la censura moderna. Più elegante, ma altrettanto tossica”.

Questa verità, o almeno la sua verità, continua a vibrare nell’aria anche a trasmissione finita. Nei giorni successivi, la clip di quello scontro vola sui social, su YouTube, su Telegram, accumulando visualizzazioni e scatenando un dibattito nel dibattito. L’Italia si divide: da una parte chi applaude Del Debbio per aver “strappato il velo dell’ipocrisia”, per aver avuto il coraggio di dire “ciò che tutti pensano”. Dall’altra, chi lo accusa di essere l’ennesimo difensore d’ufficio della destra, di aver usato la sua posizione di potere per zittire una voce critica.

Giorgia Meloni's balancing act - Engelsberg ideas

Ma una cosa resta cristallina: il messaggio è arrivato. La domanda scomoda è caduta dritta sul tavolo: viviamo davvero in un Paese dove tutti possono parlare liberamente, o solo chi si inchina alla narrazione dominante?

Del Debbio non ha preteso di dare verità assolute. Ha fatto qualcosa di più coraggioso, in un panorama televisivo che trasforma ogni confronto in un derby tra bianco e nero: ha posto domande che fanno tremare le certezze. Ha rotto la gabbia del politicamente corretto. La sua non è stata una difesa di partito, ma una difesa della libertà mentale, oggi, secondo lui, soffocata dalla paura dell’etichetta.

In un’Italia spaccata, dove il confronto diventa troppo spesso offesa e la complessità viene tritata in slogan da tifoseria, il suo intervento appare come un gesto di rottura. Ci ha ricordato che in un tempo in cui non serve più mettere il bavaglio, basta il sarcasmo e il ridicolo per ridurre al silenzio chi dissente. E questo, come ha concluso, è un veleno lento per la democrazia. Perché la democrazia respira solo nel contrasto, non nella conformità. E la libertà, ci ha ricordato Del Debbio, va protetta soprattutto quando a esercitarla è qualcuno che non ci piace.

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