l Pugno di Ferro di Meloni Scuote l’Europa: Le Misure Drastiche che Scioccano persino Le Pen e Accusano Macron di Paralisi

L’Europa osserva, divisa tra stupore e ammirazione, mentre l’Italia, sotto la guida ferma di Giorgia Meloni, intraprende un’azione così decisa da far impallidire persino i suoi alleati più stretti. Quello che sta accadendo a Roma non è semplice politica: è un terremoto. Le mosse della premier italiana sono così drastiche, così senza compromessi, da lasciare senza parole persino il Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia. È la cronaca di un continente a due velocità: da una parte l’azione risoluta, dall’altra una paralisi che sa di resa.
Mentre in Francia, come denuncia Le Pen, i talk show si perdono in discussioni interminabili sulla gestione dei flussi migratori, Giorgia Meloni ha smesso di parlare e ha iniziato ad agire. La sua pazienza è finita e la risposta è stata un pugno di ferro che sta ridisegnando le politiche migratorie nel Mediterraneo.
Il cuore della strategia di Meloni è una dichiarazione di “stato di emergenza nazionale”. Non si tratta di simbolismo politico; è una realtà operativa. Navi da guerra della marina italiana pattugliano il Mediterraneo, i porti sono stati blindati e le imbarcazioni dei trafficanti vengono intercettate con sistematica efficienza. La premier italiana ha dichiarato guerra aperta non solo ai trafficanti, ma anche a quelle ONG che, sotto la bandiera del salvataggio in mare, vengono ora viste come un fattore di attrazione.
Le misure sono spietate: multe che possono arrivare fino a 900.000 euro o addirittura il carcere per i capitani delle navi che raccolgono migranti illegali e tentano di sbarcarli in Italia, i motori delle imbarcazioni sequestrate vengono distrutti. Meloni la chiama “deterrenza con la forza”, e i numeri sembrano darle ragione. Secondo i dati diffusi, da quando queste misure sono entrate in vigore, l’immigrazione illegale è crollata di quasi il 60%, passando dalle 157.000 entrate del 2024 alle sole 66.000 del 2025. Un risultato che in Francia, e a Bruxelles, sembra fantascienza.
Ma l’azione italiana non si ferma al mare. Il governo Meloni sta attivamente perseguendo il cosiddetto “modello Albania”, un concetto che il Rassemblement National francese chiede da anni. L’idea è semplice e radicale: creare centri di asilo al di fuori dei confini dell’Unione Europea, in paesi come l’Albania o la Libia. Lì, le richieste verrebbero esaminate prima che un migrante possa mettere piede sul suolo europeo. Chi arriva illegalmente, viene respinto immediatamente. Niente più dibattiti interminabili, niente più ricorsi infiniti nei tribunali amministrativi.
Questa linea dura si riflette anche nel rapporto con l’Unione Europea. Meloni ha apertamente respinto il patto migratorio di Bruxelles, un “mostro burocratico” che, a suo dire, costringe gli Stati membri ad accogliere migranti o a pagare multe esorbitanti. La premier italiana non usa mezzi termini, definendolo un “ricatto”. In questo, trova sponda in leader come l’ungherese Orbán e altri nell’Est Europa, formando quella che viene definita una “nuova asse della ragione” contro le élite globaliste dell’UE.
Se la politica estera è decisa, quella interna non è da meno. Il partito di Meloni, Fratelli d’Italia, sta pianificando un divieto nazionale del burqa e del niqab in tutti gli spazi pubblici. Non è una questione di tolleranza, ma di sicurezza e di identità. “Un segnale contro quello che lei chiama il separatismo islamico”, contro quelle “società parallele che si tagliano deliberatamente fuori dai valori occidentali”.
La legge, co-promossa da figure di spicco del partito, prevede multe fino a 3.000 euro per le donne che coprono il loro volto in pubblico, che sia a scuola, in ufficio o per strada. “La libertà religiosa è sacra”, ha dichiarato un esponente del partito, “ma deve essere vissuta apertamente, in accordo con la nostra Costituzione”. Parallelamente, si lavora per punire più severamente i matrimoni forzati e per controllare rigorosamente i flussi di denaro straniero destinati alle moschee. “In Italia si applicano le nostre leggi. Non permettiamo una giustizia parallela”, ha tuonato la portavoce per la migrazione del partito.
Ed è qui che lo sguardo si sposta inevitabilmente sulla Francia. Marine Le Pen osserva le mosse di Meloni con un misto di approvazione e profonda frustrazione. In un discorso recente, ha colpito duramente il governo Macron, definendo le sue parole un “colpo di martello politico”. Le Pen ha sottolineato una realtà paradossale: centinaia di migliaia di rifugiati siriani stanno tornando in patria dalla Turchia (700.000), dal Libano (320.000) e dalla Giordania (152.000). Ma non dalla Francia.
Per Le Pen, è la prova lampante che il governo francese “non vuole applicare il diritto, vuole infrangerlo”. La guerra civile in Siria, sostiene, è finita da tempo, il motivo della fuga è scomparso. Eppure, accusa, il governo Macron continua ad accogliere migliaia di siriani, molti dei quali finiscono direttamente nell’assistenza sociale, con oltre mezzo milione che già vive di aiuti statali. La sua richiesta è identica a quella che Meloni sta già attuando: revoca dello status di protezione e, se necessario, rimpatri forzati.

L’ammirazione di Le Pen per la collega italiana è palese: “L’Italia protegge i suoi valori, la sua cultura e le sue donne. La Francia si piega alla sharia”. Facendo eco alle politiche di Meloni, anche Le Pen ha chiesto un divieto generale del velo negli spazi pubblici, definendolo un simbolo di “apartheid tra uomini e donne” e di “sottomissione”.
Mentre Roma agisce, Parigi discute. Il video-denuncia non risparmia critiche feroci al presidente Emmanuel Macron. L’accusa è di immobilismo, di parole senza fatti. Viene dipinto come un leader che ha aggiunto oltre 300 miliardi di euro al debito pubblico in sette anni, che invia miliardi all’Ucraina mentre “strangola” i francesi con tasse alle stelle. I dati sull’insicurezza citati sono allarmanti: +7% di tentativi di omicidio, +7% di violenze sessuali, +6% di traffico di droga in un solo anno.
Il contrasto sui budget è impietoso: l’Italia investe 5 miliardi di euro all’anno nella protezione delle frontiere, tra navi da guerra e droni. La Francia, con un’economia due volte più grande, spende un “ridicolo” 1,5 miliardi, in gran parte per “campagne d’immagine e corsi di integrazione”.
L’Italia, in questa narrazione, sta “scrivendo la storia”, dimostrando che il patriottismo, la difesa dei confini e l’autodeterminazione nazionale non sono “frasi vuote”, ma una “realtà vissuta”. Il successo di Meloni sta forzando Bruxelles a riflettere e mostra alla Francia “ciò che è possibile quando si ha coraggio”.

La conclusione è amara per Parigi. Mentre l’Italia dimostra che “l’immigrazione deve essere ordinata, controllata e limitata”, la Francia sembra perdersi in “complessi di colpa”. L’interrogativo che aleggia è potente: cosa succederebbe se la Francia adottasse la linea di Meloni? Se costruisse barriere, fermasse le navi delle ONG e tagliasse gli aiuti sociali ai migranti illegali? L’effetto, si suggerisce, sarebbe immediato: meno migrazione, più sicurezza, meno costi.
Invece, l’accusa è che la Francia stia finanziando un sistema che tradisce i suoi stessi cittadini. Meloni ha dato il la; l’Italia difende i suoi confini, la sua cultura, la sua identità. E la Francia, insieme al resto d’Europa, è ora costretta a guardare e, forse, a scegliere da che parte stare nella battaglia per l’anima del continente.