‘Hanno tentato di ammazzarci’. Questa non è una frase qualunque. È il grido disperato di un poliziotto con 20 anni di servizio. In un intervento esplosivo, ha denunciato il ‘lassismo buonista’ e i politici che parlano di ‘disagio’ di fronte alla guerriglia urbana. Ha fatto nomi, ha citato cifre spaventose di agenti feriti e ha implorato un cambiamento. La politica lo ascolterà? Quello che ha detto è troppo scioccante per essere ignorato. Leggi l’intervento completo che sta scuotendo l’Italia nel primo commento. Grido d’Allarme dalla Polizia: “Hanno Tentato di Ammazzarci”. L’Atto d’Accusa di un Agente Scuote la Politica

Grido d’Allarme dalla Polizia: “Hanno Tentato di Ammazzarci”. L’Atto d’Accusa di un Agente Scuote la Politica.

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Non era un politico. Non era un sociologo. Non era un opinionista di professione. Sul palco, c’era un uomo con vent’anni di servizio sulle spalle. Un poliziotto. E le sue parole non erano filtrate dalla diplomazia, né addolcite dalla retorica. Erano ruvide, disperate e pesanti come macigni. In un intervento che ha squarciato il velo del dibattito pubblico, un agente ha consegnato alla platea e al Paese un atto d’accusa feroce, un “j’accuse” proveniente direttamente dalla prima linea: “La società l’abbiamo fatta cambiare noi. Depotenziando e delegittimando le forze di polizia”.

È l’istantanea di un malessere profondo, quello che serpeggia tra le fila di chi indossa una divisa e che, troppo spesso, rimane confinato nelle chat private o negli sfoghi a fine turno. Questa volta, però, lo sfogo è diventato pubblico. È diventato un manifesto. L’agente ha descritto un “declino totale” negli ultimi due decenni, un’erosione sistematica dell’autorità dello Stato che ha portato a una conseguenza agghiacciante: “la consapevolezza di chi delinque di non avere nulla da perdere”.

Il cuore della sua denuncia tocca un nervo scoperto, un paradosso che suona come un insulto per chi rischia la vita ogni giorno. “Risarcimenti astronomici a criminali”, ha tuonato l’agente. E non è rimasto sul vago. Ha portato un esempio concreto, una storia che da sola vale più di mille analisi: “Un collega della PS, per aver sparato a un’auto in fuga che stava investendo un altro collega, deve risarcire 80.000 euro. Mi spiegate in tutta la vita come farà a risarcire 80.000 euro?”.

La domanda è rimasta sospesa nell’aria, pesante. È l’emblema di un sistema che, nella percezione di chi è in strada, si è capovolto. Il servitore dello Stato, l’uomo chiamato a far rispettare la legge, si ritrova indagato, processato e infine condannato a un debito che lo distruggerà economicamente, per aver cercato di fermare un’azione criminale. È il primo pilastro della delegittimazione: l’idea che l’azione della polizia sia, per definizione, sospetta.

Il secondo pilastro è la prassi, tutta italiana, dell’”atto dovuto”. “Indagare per atto dovuto l’agente di turno”, ha spiegato il poliziotto. Sulla carta, ci dicono, “è un atto di garanzia”. Ma lui, che questa esperienza l’ha vissuta “sulla mia pelle”, la traduce in termini umani, non burocratici: “Una garanzia da cosa? Distruzione della famiglia, distruzione economica, distruzione da tutto”. È un logoramento psicologico, un messaggio costante che ti fa passare “da chi protegge la legge ad essere indagato”. Un processo alimentato, secondo l’agente, da una narrazione tossica che dipinge la polizia come “violenta” e l’Italia come un paese razzista che fa “profilazione etnica”.

 

Ma l’affondo più duro, il centro di questo grido di dolore, è riservato alla politica. O meglio, a quella politica. Quella che, di fronte alla violenza, risponde con la sociologia. L’agente ha puntato il dito contro chi, anche da scranni autorevoli, continua a derubricare i reati a “disagio e mancata integrazione”. Un giustificazionismo che il poliziotto smonta con una logica disarmante: “Ma come fa ad esserci integrazione senza rispetto delle regole?”.

Il caso di studio di questa frattura è Corvetto. Per alcuni, “una manifestazione per una ricerca onorevole della verità”. Per l’agente che era lì, la realtà è un’altra: “Quella era guerriglia. Hanno tentato di ammazzarci. Lì c’è poco da fare”. L’amarezza esplode quando ricorda i commenti di chi ha tentato di giustificare gli assalitori: “Attualmente a Corvetto c’è stato chi ha giustificato. ‘Sono ragazzi, vanno capiti’. Ma di cosa? Sono delinquenti. Sono delinquenti!”.

“Spero che il provvedimento passi. Fate il possibile”: ascoltate le parole  di questo poliziotto

È qui che il discorso si salda con l’attualità politica più stretta. L’agente parla di un passato recente fatto di “lassismo buonista, giustificazionismo ipocrita, garantismo schizofrenico”. Critica apertamente riforme come il “decreto Cartabia”, che a suo dire “ha distrutto la giustizia in modo esagerato”. E, per la prima volta, la disperazione lascia spazio a una richiesta concreta, a una speranza. Rivolgendosi direttamente ai politici presenti, ha detto con forza: “Senatore, noi ‘sto decreto sicurezza lo vogliamo. Lo abbiamo richiesto”.

Non è un’adesione ideologica. È una richiesta di strumenti per sopravvivere. Nel decreto, gli agenti sperano di trovare cose elementari, ma vitali. Le “bodycam”, non per spiare i cittadini, ma “perché almeno riusciamo tramite i video a farci credere da qualcuno”. La “tutela legale”, per non dover più dipendere dalla carità o dalle collette. E, soprattutto, la certezza della pena per reati come la “resistenza a pubblico ufficiale”. L’agente descrive la frustrazione di chi scrive “tante di quelle carte” e si fa refertare in ospedale, solo per vedere l’aggressore “già fuori, a mangiare a casa con i propri parenti” nel tempo tecnico del fotosegnalamento.

I numeri che cita sono da bollettino di guerra: 2700 feriti solo nel 2023 per attività di polizia giudiziaria, senza contare l’ordine pubblico. Quindici agenti feriti a Torino “nel giro di mezz’ora”. “La situazione è drammatica”, ammette.

In questo quadro desolante, l’agente traccia una linea netta tra la politica e la gente. Da un lato, critica figure come “Landini, il segretario del sindacato, e la Salis, europarlamentare”, accusandoli di stare “sempre dalla parte di chi lotta”, parlando di “rivolta sociale”. Dall’altro, racconta un’Italia diversa. Quella che, per un carabiniere indagato, ha organizzato una raccolta fondi raccogliendo “in 48 ore 50.000 euro”. Quella che ha partecipato a una “fiaccolata silenziosa” di “oltre 2000 persone per bene”, non contro la polizia, ma per proteggerla.

PASQUALE GRIESI intervistato a Gli Inascoltabili - YouTube

Il suo intervento si chiude così, con un appello tanto semplice quanto potente. Un appello al rispetto. “Cercate di avere un po’ di rispetto delle persone in uniforme, che continuano a lavorare, perché forse nelle piazze sono gli unici che lavorano”.

 

E infine, la frase che racchiude il senso di tutto il suo intervento. Un’implorazione rivolta a chi può, finalmente, cambiare le cose. “Spero che il decreto sicurezza passi. Perché serve. Fate il possibile”. Una richiesta di aiuto, un grido d’allarme, l’ultima speranza di un uomo che, dopo vent’anni di servizio, chiede solo di poter fare il proprio lavoro senza essere trattato come un criminale.

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