Giannini ha provato ad attaccare, ma Meloni lo ha zittito con poche parole: un minuto di silenzio, poi il premier lo ha colpito con una frase fatale che ha frantuma il dibattito.👇

C’è un momento preciso, quando le telecamere di La7 si accendono, in cui l’atmosfera nello studio cambia radicalmente, diventando più sottile, quasi irrespirabile per chi non appartiene al ristretto circolo del pensiero unico che domina i salotti televisivi della sinistra italiana. Ed è proprio in quell’istante che il pubblico capisce che non si sta assistendo a un programma di approfondimento giornalistico, ma a una vera e propria sfida, un rito sacrificale dove la vittima designata è sempre la stessa: il governo di centrodestra, e in particolare, Giorgia Meloni.

Quella che andrà in onda a Otto e Mezzo non è una semplice intervista, ma un attacco mirato. Chiamarla “dibattito” sarebbe un insulto all’intelligenza di chi guarda, poiché un dibattito richiede un confronto tra due parti che si sfidano ad armi pari. Ma nello studio di Lilli Gruber, tutto è predisposto per mettere Giorgia Meloni all’angolo. La scenografia, la regia, gli ospiti e persino le luci sono calibrati per farla apparire isolata e in difficoltà, circondata dalle accuse di fallimento dei suoi ministri.

Lilli Gruber, con la sua consueta postura rigida e lo sguardo inquisitorio, affronta la sua ospite con un sorriso che tradisce la convinzione di essere già vittoriosa. La strategia è chiara sin dai primi secondi: non attaccare direttamente la Meloni, troppo rischioso, ma colpirla ai fianchi, scavando nei rapporti interni al governo, insinuando fratture, cercando di dipingerla come una leader costretta a mettere pezze agli errori altrui. I bersagli principali sono due figure cruciali dell’esecutivo: Carlo Nordio, Ministro della Giustizia, ed Eugenia Roccella, Ministro per la Famiglia e le Pari Opportunità.

Il programma inizia con una calma apparente, ma il clima è carico di tensione, come quel silenzio che precede la tempesta. Lilli Gruber solleva una serie di presunte “criticità”: caos, imbarazzo, scollamento. Parole pesanti, mirate a evocare un’immagine di un’Italia sull’orlo del baratro, un Paese che sarebbe sull’orlo di un crollo democratico solo perché qualcuno sta cercando di cambiare ciò che per anni è stato considerato intoccabile.

Il primo attacco arriva con Carlo Nordio. La Gruber, con indignazione controllata, inizia a esaminare le sue azioni, accusando il Ministro di essere scollegato dalla realtà, di essere un uomo inadeguato che ha osato parlare di riforma della giustizia, di separazione delle carriere e di limiti alle intercettazioni. Domande mascherate da sentenze, domande tese a strappare a Meloni una dichiarazione di dissenso, una presa di distanza che avrebbe potuto alimentare la narrativa mediatica del giorno successivo.

Ma Giorgia Meloni non cede. Rimane calma, con una lucidità glaciale. Risponde ricordando che il governo risponde ai cittadini, non ai salotti televisivi. Nordio sta facendo il suo lavoro, ha detto, smontando un sistema che ha soffocato la politica italiana per decenni. Se non fa dichiarazioni infuocate sui giornali, è perché sta lavorando, spiegando che il “caos” che viene percepito è solo il rumore del sistema che resiste al cambiamento.

La Gruber tenta di interromperla, ma la Meloni continua, rivendicando la separazione delle carriere come parte del programma elettorale, ricordando che gli italiani hanno votato per questo cambiamento. Cita anche dati economici e sull’occupazione, e l’atmosfera nello studio si congela. La conduttrice perde il controllo, agitandosi nervosamente e scorrendo freneticamente i fogli. La regia inquadra i suoi primi piani, evidenziando la sua frustrazione.

Il secondo attacco si concentra su Eugenia Roccella, accusata di essere nemica dei diritti delle donne. La Gruber passa dal tema della giustizia a quello dei diritti civili, e lo studio si trasforma in un tribunale dell’inquisizione laica. Viene accusata di alimentare la violenza di genere con le sue politiche familiari, di non fare abbastanza per fermare la violenza contro le donne. Un attacco ingiusto, che sfrutta tragedie reali per una polemica politica. La Gruber interrompe, parla sopra, cercando di non lasciare spazio alla risposta. Ma la Meloni non si lascia intimidire.

Quando la Gruber parla di patriarcato e diritti negati, la Meloni affonda il colpo. “Lei sta facendo la morale sul femminismo all’unica donna che è arrivata a Palazzo Chigi”, afferma, ricordando che la sua parte politica ha sempre messo uomini al comando. È un colpo decisivo, un KO tecnico. Meloni difende Roccella, ricordando la sua lunga carriera nel femminismo vero, non quello da salotto, rivendicando i fondi contro la violenza di genere, i sostegni alle lavoratrici e la tutela della maternità come libertà, non come una catena.

La Gruber, ormai in difficoltà, cerca rifugio nella pubblicità, tentando di chiudere il dibattito e cambiare tema. Ma la Meloni, con fermezza, prende l’ultima parola: “Giudicateci per ciò che facciamo, non per i mostri che disegnate voi per spaventare gli italiani.” Poi raccoglie i fogli e si alza. La sigla parte. La conduttrice resta visibilmente sconfitta, mentre un silenzio pesante cala sullo studio, un silenzio che nessuna regia aveva previsto, ma che rappresenta il segno che quella sera, qualcosa è cambiato.

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