Ci hanno mentito sull’Everest: i resti di Sandy Irvine rivelano la scioccante verità sepolta per 100 anni

Negli annali dell’esplorazione, poche storie catturano l’immaginazione come la tragica storia di George Mallory e Andrew “Sandy” Irvine, gli scalatori vestiti di tweed scomparsi nelle nebbie del Monte Everest nel 1924. Per un secolo, la loro scomparsa ha alimentato uno dei più grandi misteri dell’alpinismo: hanno conquistato la vetta più alta del mondo prima della loro morte, quasi tre decenni prima del tentativo confermato di vetta di Tenzing Norgay ed Edmund Hillary nel 1953? Ora, una scoperta sorprendente – un calzino ricamato con la scritta “A.C. Irvine” e uno scarpone consumato – rinvenuti sul ghiacciaio Rongbuk Centrale ha riacceso la ricerca di risposte, scavando negli strati della storia per rivelare una verità a lungo sepolta nel ghiaccio.

All’ombra della Prima Guerra Mondiale, l’orgoglio imperiale britannico fu minato. Dopo aver perso le gare al Polo Nord e al Polo Sud contro Stati Uniti e Norvegia, il Regno Unito rivolse lo sguardo all’Everest, il “Terzo Polo”, come ultimo baluardo per reclamare la sua gloria esplorativa. La spedizione all’Everest del 1924, sostenuta dalla Royal Geographical Society e dall’Alpine Club, fu più di una scalata: fu un tentativo di ripristinare il prestigio di un impero in declino.

Al centro di questa missione c’erano George Mallory, un carismatico insegnante ed esperto alpinista, e Sandy Irvine, un ventiduenne vogatore e ingegnere di Oxford la cui forza silenziosa gli valse un posto nella squadra. Mallory, veterano dei tentativi britannici sull’Everest del 1921 e del 1922, fu il fulcro della spedizione, la cui straordinaria capacità di leggere la montagna lo distingueva. La sola ricognizione del 1921 mappò 12.000 miglia quadrate di terreno himalayano sconosciuto, un’impresa che rimane una pietra miliare della cartografia moderna. Irvine, sebbene meno esperto, portò con sé il vigore giovanile e l’abilità tecnica, descritto da Mallory in una lettera alla moglie come qualcuno “su cui si poteva contare per qualsiasi cosa, tranne forse per la conversazione”.

L’8 giugno 1924, Mallory e Irvine intrapresero il loro fatidico tentativo di raggiungere la vetta. La spedizione era stata afflitta da una cattiva pianificazione e da una malattia, ma la loro determinazione era stata annientata. Nella sua ultima lettera alla moglie Ruth, Mallory scrisse: “È 50 a 1 contro di noi, ma ci daremo comunque dentro e ne saremo orgogliosi”. Mentre salivano, il compagno di spedizione Noel Odell li intravide da migliaia di metri più in basso, due puntini neri che si muovevano con regolarità lungo una cresta prima di scomparire in una nuvola vorticosa. Non furono mai più visti vivi.

Giorni dopo, un cupo telegramma del colonnello Norton giunse al Comitato per il Monte Everest: “Mallory e Irvine sono morti all’ultimo tentativo. Il resto del gruppo ha raggiunto il Campo Base sano e salvo”. La Gran Bretagna pianse i suoi eroi caduti, con Re Giorgio V presente alla cerimonia funebre nella Cattedrale di St. Paul, un raro onore per gli alpinisti, come osserva lo storico Wade Davis in ” Into the Silence” . Per 75 anni, il destino di Mallory rimase un mistero, e quello di Irvine l’enigma di un secolo.

Nel 1999, l’alpinista Conrad Anker si imbatté nei resti congelati di Mallory a 8.000 metri, a soli 660 metri dalla vetta dell’Everest, alta 8.849 metri. La scoperta, ora detenuta dalla Tibet Mountaineering Association cinese, riaccese il dibattito: Mallory e Irvine avevano davvero raggiunto la vetta? Mancavano la macchina fotografica di Mallory, che avrebbe potuto contenere prove fotografiche, e una foto di Ruth, che aveva promesso di partire sulla vetta. La loro assenza alimentò le speculazioni sul fatto che i due potessero avercela fatta, per poi morire durante la discesa.

Ora, un secolo dopo la sua scomparsa, si è aperto un nuovo capitolo. Una troupe di documentaristi guidata dal direttore del National Geographic Jimmy Chin ha scoperto un calzino con la scritta “A.C. Irvine” e uno stivale sul ghiacciaio Rongbuk Centrale, sotto la parete nord dell’Everest. Il ritrovamento, a un’altitudine inferiore rispetto al corpo di Mallory, ha mandato la squadra in delirio. “Correvamo in tondo, urlando parolacce”, ha ricordato Chin. “È la prima vera prova di dove sia finita Sandy”.

La scoperta, fatta pochi giorni dopo il ritrovamento da parte del team di una bombola di ossigeno del 1933, risalente a una successiva spedizione fallita, offre un indizio allettante. Quel ritrovamento precedente, insieme al ritrovamento nel 1933 della piccozza di Irvine in cima alla cresta nord-orientale, aveva già suggerito la sua possibile traiettoria. Chin ipotizzò che i resti di Irvine potessero trovarsi “a poche centinaia di metri più in basso lungo il ghiacciaio”, confermando un’intuizione avuta quando il regista Erich Roepke vide lo stivale emergere dal ghiaccio. “Si è letteralmente sciolto una settimana prima che lo trovassimo”, ha detto Chin.

Per Julie Summers, nipote e biografa di Irvine, la scoperta è stata profondamente personale. “Convivo con questa storia da quando avevo sette anni”, ha detto, ricordando come suo padre l’abbia introdotta al mistero di “zio Sandy”. Quando Chin ha condiviso la notizia delle iniziali ricamate sul calzino, Summers si è “commossa fino alle lacrime”. La famiglia Irvine ha offerto volontariamente il test del DNA per confermare l’identità dei resti, un passo che potrebbe portare alla conclusione di un secolo di incertezza.

Chin, alpinista veterano, comprende il peso della scoperta. “Ogni spedizione sull’Everest segue l’ombra di Irvine e Mallory”, ha detto. “A volte le scoperte più grandi accadono quando non stai nemmeno guardando”. Ha contestato la posizione esatta per proteggere il sito dai cacciatori di trofei, sottolineando la necessità di onorare l’eredità degli scalatori.

La scoperta dei resti di Irvine acuisce la domanda centrale: hanno portato a termine l’impresa? La comunità degli scalatori rimane divisa. L’assenza della macchina fotografica di Mallory e della foto di Ruth suggerisce che avrebbero potuto raggiungere la vetta, ma le sfide tecniche del secondo tiro, una parete rocciosa quasi verticale, rendono improbabile tale impresa senza attrezzature moderne. Eppure, l’abilità di Mallory e la tenacia di Irvine mantengono viva questa possibilità.

Per ora, la verità è racchiusa nell’abbraccio gelido dell’Everest, condivisa solo dalla montagna e dai due uomini che hanno osato sfidarla. I resti di Irvine, riemersi dopo un secolo, offrono la speranza che le scoperte, forse l’inafferrabile macchina fotografica, un giorno risolveranno il dibattito. Fino ad allora, la storia di Mallory e Irvine permane come testimonianza dell’ambizione umana, del sacrificio e dell’incessante attrazione dell’ignoto.

“È stato un momento monumentale ed emozionante”, ha detto Chin. “Speriamo che questo possa finalmente portare pace ai suoi familiari e al mondo dell’alpinismo in generale”. Mentre il mondo riflette su questa svolta, la leggenda del 1924 si accresce, ricordandoci che alcuni misteri, come l’Everest, si rifiutano di essere superati.

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