Nel panorama politico italiano, la comunicazione gioca un ruolo fondamentale, spesso più dei fatti stessi. Assistiamo ciclicamente a narrazioni che, a forza di essere ripetute, rischiano di diventare verità acquisite, specialmente se non trovano un argine critico nei luoghi deputati all’informazione, come i salotti televisivi. L’ultimo episodio di questa saga vede protagonista la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, e le sue recenti dichiarazioni riguardo al Reddito di Cittadinanza e all’operato del governo Meloni. Un intervento che ha sollevato più di un sopracciglio tra chi segue le cronache parlamentari con attenzione ai dettagli tecnici, e che merita di essere dissezionato per separare la propaganda dalla realtà amministrativa.

La Narrazione della “Cancellazione”
Durante una recente ospitata televisiva nel programma “In Altre Parole” condotto da Massimo Gramellini su La7, la leader dem ha lanciato un attacco frontale alla Premier Giorgia Meloni. Il cuore della critica? L’accusa di aver brutalmente “cancellato” il Reddito di Cittadinanza, privando il Paese di uno strumento fondamentale di contrasto alla povertà in un momento storico in cui i dati sull’indigenza sono preoccupanti. Schlein ha sostenuto, con tono accorato, che tale strumento “si poteva migliorare insieme” e che solo questo governo poteva pensare di “segare le gambe” agli aiuti per gli ultimi.
A un primo ascolto, le parole della segretaria possono sembrare condivisibili, quasi doverose per un leader di opposizione che si fa carico delle istanze sociali. Tuttavia, analizzando i fatti normativi, emerge una discrepanza macroscopica tra quanto affermato e quanto realmente accaduto. È qui che il cortocircuito informativo diventa evidente e, per certi versi, allarmante.
La Realtà dei Fatti: Trasformazione, non Cancellazione
La tesi secondo cui il governo Meloni avrebbe lasciato i poveri senza tutele è smentita dai provvedimenti stessi approvati dall’esecutivo. Il Reddito di Cittadinanza, nella sua forma originaria targata Movimento 5 Stelle, è effettivamente cessato, ma non è stato sostituito dal vuoto pneumatico. Al suo posto è stato introdotto l’Assegno di Inclusione (ADI), una misura che ricalca le finalità di sostegno economico ma ne modifica sostanzialmente la platea e i requisiti.
La differenza sostanziale, che spesso viene omessa nella foga del dibattito politico, risiede nel target dell’aiuto. Il nuovo strumento è destinato specificamente ai nuclei familiari in cui sono presenti componenti non occupabili: disabili, minori, anziani over 60 o persone in condizioni di svantaggio prese in carico dai servizi sociali. In altre parole, l’aiuto non è stato “cancellato”, ma è stato “mirato”.
Dire che il governo ha “segato le gambe agli aiuti” è un’affermazione che cozza con la realtà: i fondi per chi non può lavorare ci sono ancora. Quello che è stato tagliato è il sussidio a chi è abile al lavoro e non ha carichi di cura che ne impediscano l’attivazione lavorativa. La “modifica” che Schlein auspica si facesse “insieme” è, nei fatti, già avvenuta. Il governo ha applicato esattamente il principio di separare l’assistenza (per chi non può lavorare) dalle politiche attive (per chi può).
Il Paradosso del “Miglioramento”
C’è un’ironia di fondo nelle parole della segretaria del PD quando afferma che lo strumento “si poteva migliorare”. La riforma attuata dal centrodestra è andata proprio nella direzione di correggere quelle che erano considerate le storture sistemiche del vecchio RDC. Per anni si è discusso di come il sussidio grillino finisse anche nelle tasche di chi lavorava in nero, di chi non aveva reale intenzione di cercare impiego o di chi, semplicemente, non ne aveva i requisiti etici prima ancora che economici.
Meloni ha agito chirurgicamente su questo. Ha “migliorato” lo strumento rendendolo meno permeabile alle truffe e più focalizzato sulla vera povertà, quella che non ha vie d’uscita autonome. Accusare il governo di insensibilità sociale mentre si mantiene attiva una rete di protezione per i più fragili appare quindi come una mossa puramente strumentale, tesa a delegittimare l’avversario (“sminuire, sminuire, sminuire”, come suggerisce una certa strategia comunicativa) piuttosto che a criticare il merito delle leggi.
L’Errore Semantico del “Reddito di Cittadinanza”
Un altro punto che merita riflessione è l’attaccamento al nome stesso della vecchia misura. “Reddito di Cittadinanza” era, fin dalla sua genesi, un termine improprio, quasi una “truffa semantica”, come viene definita da alcuni osservatori critici. Il concetto puro di Basic Income o Reddito di Cittadinanza universale prevederebbe, teoricamente, l’erogazione di una somma a ogni cittadino in quanto tale, dal neonato al miliardario, solo per il fatto di possedere un passaporto.
Ovviamente, la misura italiana non è mai stata questo, ma il nome ha contribuito a creare una confusione culturale enorme, alimentando l’idea che lo Stato debba un vitalizio ai cittadini a prescindere dalla loro condizione o contributo. Aver cambiato nome, passando ad “Assegno di Inclusione”, riporta la semantica nel campo della realtà: è un aiuto per includere chi è escluso, non un diritto acquisito per nascita. Che la leader del PD non riconosca questo passaggio culturale, o finga di non vederlo, dimostra quanto il dibattito sia ancora ostaggio di slogan più che di contenuti.
Il Silenzio dei Media
Ciò che rende questa vicenda particolarmente grave non è tanto la strategia politica di Elly Schlein – il cui lavoro è, dopotutto, opporsi al governo – quanto l’assenza di un contraddittorio efficace nel sistema mediatico. Quando in una trasmissione di prima serata vengono pronunciate inesattezze fattuali così evidenti (come l’inesistenza di aiuti alla povertà), ci si aspetterebbe che il giornalista, garante della verità sostanziale dei fatti, intervenisse.
Un semplice “Scusi Onorevole, ma l’Assegno di Inclusione esiste ed è attivo, quindi i poveri sono coperti, forse lei si riferisce agli occupabili?” sarebbe bastato a riportare la discussione sui binari della realtà. Invece, assistiamo spesso a quello che molti definiscono “giornalismo compiacente”: interviste che sembrano comizi senza contraddittorio, dove l’ospite può riscrivere la storia recente senza timore di smentita. Questo atteggiamento non aiuta il pubblico a capire, ma serve solo a polarizzare ulteriormente il tifo politico. Se la “schiena dritta” del giornalismo si piega di fronte alla narrazione di parte, il servizio pubblico (o privato che sia) fallisce la sua missione.
Un Punto di Incontro: Il Salario Minimo
Per onestà intellettuale, va detto che non tutto l’intervento della Schlein è da gettare. Quando parla di “Salario Minimo” e della necessità di tutelare i “lavoratori poveri” (working poor), tocca un nervo scoperto su cui il consenso è molto più trasversale di quanto si creda. Molti osservatori, anche critici verso il PD, riconoscono che su questo tema la battaglia è legittima e necessaria. È forse l’unico terreno su cui una “collaborazione” per migliorare le condizioni degli italiani sarebbe stata non solo auspicabile, ma doverosa.
Tuttavia, mescolare battaglie sacrosante come quella sul salario minimo con mistificazioni sulla cancellazione del welfare crea un minestrone indigesto che, alla fine, danneggia proprio la credibilità delle proposte più serie.
In conclusione, la politica italiana ha un disperato bisogno di tornare ai fondamentali: analizzare i provvedimenti per quello che c’è scritto in Gazzetta Ufficiale, non per quello che viene urlato nei talk show. Il Reddito non è sparito, si è evoluto. E forse, sarebbe ora che anche l’opposizione si evolvesse, passando dalla propaganda della catastrofe a una critica costruttiva sui dettagli reali.