“Vergognatevi!”: L’Accusa in Diretta del Poliziotto Gresi Gela la Senatrice Malpezzi. Standing Ovation e Scontro Totale in TV.

Quello che doveva essere un dibattito televisivo come tanti, uno spazio di confronto sull’attualità e le tensioni sociali, si è trasformato in una delle pagine più crude, oneste e brutali della televisione recente. Non ci sono stati filtri, non c’è stata retorica. Solo un uomo, un servitore dello Stato, che ha squarciato il velo di ipocrisia della politica. Il risultato è stato uno scontro frontale, una resa dei conti che ha lasciato ammutolito il pubblico a casa e ha scatenato una tempesta emotiva in studio, culminata in una standing ovation che pesava come un macigno.
Protagonisti di questa arena mediatica sono stati Pasquale Gresi, segretario del sindacato FSP della Polizia di Stato, e la senatrice Simona Malpezzi, figura di spicco del Partito Democratico. L’argomento sul tavolo era incandescente: le recenti, violente manifestazioni di piazza a Torino, degenerate in guerriglia urbana durante lo sgombero di un centro sociale. Ma nessuno avrebbe potuto prevedere che la discussione sarebbe diventata personale, viscerale, fino a toccare le corde più profonde del risentimento e della frustrazione.
Tutto ha avuto inizio con una domanda apparentemente di rito: come deve reagire lo Stato di fronte alla violenza di piazza? A prendere la parola è stato Gresi. E non è stato un intervento sindacale. È stato lo sfogo di un uomo, di un poliziotto. Con la voce ferma ma carica di un’emozione trattenuta a stento, ha raccontato la sua realtà. “Ho visto colleghi feriti,” ha esordito, “io stesso sono stato colpito da una bomba carta. Il mio piede ancora oggi non è guarito del tutto”.
In quel momento, lo studio è piombato in un silenzio carico di tensione. Gresi ha continuato, e le sue parole erano sassi: “E intanto, mentre noi finiamo all’ospedale, ci sentiamo dire che dobbiamo ‘capire il disagio sociale’”. È stata questa la scintilla. Gresi ha puntato il dito non contro i manifestanti, ma contro una certa politica. “Quando un poliziotto viene colpito,” ha scandito, “si apre un fascicolo su di lui. Quando un manifestante aggredisce, si cerca una giustificazione. È questa la giustizia in Italia?”.
Qui è intervenuta la senatrice Malpezzi. Ha tentato, come da copione, di riportare il dibattito su un piano istituzionale. Ha parlato della necessità di “distinguere tra chi protesta e chi delinque” e di “comprendere le radici del disagio”. Ma le sue parole, pronunciate con un tono forse percepito come distante, burocratico, hanno avuto l’effetto di gettare benzina sul fuoco. Dallo studio si sono levati i primi fischi, i primi mormorii di disapprovazione.
Gresi l’ha interrotta, senza più freni. “Distinguere? Qui c’è gente che lancia sassi contro chi porta una divisa! Che brucia auto della polizia! Non sono studenti, non sono attivisti, sono delinquenti!”. Poi, l’affondo politico, diretto e spietato, guardandola negli occhi: “E chi non li condanna, è complice”.
Il conduttore ha provato a calmare gli animi, ma l’argine era rotto. La senatrice Malpezzi, visibilmente infastidita, ha replicato che “la violenza va sempre condannata”, ma ha subito aggiunto la necessità di “isolare le frange estreme” senza “criminalizzare il dissenso”. Una posizione politica che, in quel contesto, è suonata come un’arrampicata sugli specchi. E Gresi l’ha colpita nel punto più scoperto.
“Lei sta evitando di dire una cosa semplice,” l’ha incalzata, “che chi lancia Molotov contro la polizia è un delinquente. È così difficile da dire? Ha paura di perdere voti nei centri sociali?”.
L’affermazione è stata una deflagrazione. Il pubblico è esploso in un boato, un misto di applausi per il poliziotto e fischi per la senatrice. Lo studio non era più uno studio televisivo, era diventato un tribunale popolare. La Malpezzi ha tentato di difendersi parlando di “libertà di manifestazione” e di “pericolosi scivolamenti autoritari”, ma la sua voce era ormai coperta dal rumore.
Il momento di massima tensione, il climax emotivo dello scontro, è arrivato poco dopo. Pasquale Gresi si è alzato in piedi. Con la voce rotta dall’emozione, le lacrime agli occhi, ha smesso i panni del sindacalista ed è diventato semplicemente un uomo che indossa una divisa. “Noi non chiediamo privilegi. Chiediamo solo rispetto. Quando usciamo di casa non sappiamo se torneremo. Siamo padri, madri, figli. E invece veniamo dipinti come nemici. Chi ci difende?”.
Si è guardato intorno, come a cercare supporto. Poi, ha pronunciato la frase che ha fatto la storia di quella trasmissione. “Questi collettivi che aggrediscono sono un tumore. E chi non li condanna, chi trova sempre una scusa, è complice. Lo dico con dolore, ma con chiarezza. Basta ipocrisie!”.
A quel punto, è successo l’inimmaginabile. L’intero studio si è alzato in piedi. Un applauso scrosciante, prolungato, commosso. Persone con le lacrime agli occhi, che battevano le mani non a un ospite televisivo, ma a un uomo che aveva dato voce alla loro stessa frustrazione. Una standing ovation che non era solo per Gresi, ma era contro la posizione della senatrice.
La Malpezzi è rimasta seduta, impietrita. Visibilmente sotto pressione, ha tentato un’ultima, debole difesa parlando di “diritti costituzionali” e “equilibrio”, ma la sua voce era un sussurro sovrastato dai fischi. Una voce dal pubblico ha urlato una sentenza: “La libertà di espressione non è il diritto di aggredire!”.
Il volto di Gresi, in quel momento, è diventato il simbolo di una battaglia più grande. Quello che è accaduto dopo ha sancito la fine del confronto. La trasmissione si è chiusa con l’immagine del poliziotto che, con gli occhi lucidi, lanciava un ultimo appello: “Non ci serve pietà. Ci serve rispetto e solidarietà vera. Quella che non si misura con la convenienza politica, ma con l’onestà morale”. Di nuovo, l’applauso dello studio lo ha travolto.
La senatrice Malpezzi ha lasciato lo studio senza rilasciare ulteriori dichiarazioni. Nessuna conferenza stampa, nessun commento sui social. Un silenzio che, come hanno sottolineato molti osservatori, vale più di mille parole.

Questo scontro non è stato solo un incidente televisivo. È stato lo specchio di una frattura profonda nel Paese. Da un lato, c’è la richiesta disperata di sicurezza, di rispetto per le regole e per chi le fa rispettare, spesso rischiando la vita. Dall’altro, una parte della politica che, nel tentativo di comprendere (o forse di non inimicarsi) le frange più estreme della protesta, appare incapace di esprimere condanne nette, di chiamare la violenza con il suo nome: delinquenza.
La standing ovation per Pasquale Gresi non è stata solo solidarietà per un poliziotto ferito; è stata la ribellione del “popolo” contro il “palazzo”, la vittoria della verità cruda sulla retorica politica. È stato il momento in cui l’Italia che si sente ignorata ha trovato, in un uomo commosso in diretta TV, il suo portavoce più inaspettato e potente. E ora, la politica, quella colpita e affondata in diretta, dovrà fare i conti con quel grido di dolore e di rabbia: “Vergognatevi!”.