In una devastante svolta degli eventi, un drone con immagini termiche ha confermato il tragico destino dell’alpinista russa 47enne Natalia Nagovitsina, bloccata a 7.000 metri sul Victory Peak in Kirghizistan. Dopo 15 giorni di estenuanti ricerche, le speranze di un salvataggio miracoloso si sono estinte quando il drone non ha rivelato segni di vita nell’implacabile “zona della morte” della vetta, a 7.400 metri. La storia di Nagovitsina, segnata dalla sua incredibile resilienza e da una struggente tragedia familiare, ha commosso la comunità alpinistica e scatenato un acceso dibattito sulla decisione di interrompere le operazioni di soccorso. Mentre suo figlio Mikhail implora un’ultima ricerca, questa analisi esplora gli eventi che hanno portato alla sua perdita, le sfide del soccorso in alta quota e il peso emotivo della sua storia.

Il trionfo di Natalia Nagovitsina è un monito serio sulla natura pericolosa dell’alpinismo ad alta quota. Nota per la sua forza e la sua esperienza, Nagovitsina non era estranea alle sfide degli ambienti estremi, essendo sopravvissuta a una prova straziante sul Khan Tengri nel 2021. Tuttavia, la sua ultima scalata si è conclusa in tragedia quando si è rotta una gamba il 12 agosto 2025, trovandosi avvolta da temperature sotto lo zero e con aiuti minimi. Nonostante gli sforzi eroici del suo compagno di scalata, Luca Sinigaglia, e i molteplici tentativi di salvataggio, le condizioni meteorologiche avverse e il terreno insidioso si sono rivelati insormontabili. La decisione delle autorità kirghise di interrompere le ricerche, confermata da un ultimo volo con drone il 27 agosto 2025, ha lasciato suo figlio Mikhail in lutto e la comunità degli alpinisti alle prese con dolore e polemiche. Approfondiamo la cronologia, le sfide del salvataggio e la risonanza emotiva di questa tragedia.
Il test a Victoria Peak

Alpinista con cartello sulla vetta innevata.
La scalata di Nagovitsina è iniziata con un team di quattro persone, tra cui il russo Roman Mokrinsky, il tedesco Glemther Sigmund e l’italiano Luca Sinigaglia. Il 12 agosto, mentre scendeva dalla cima del Victory Peak, a 7.439 metri, è caduta e si è fratturata una gamba, rimanendo immobilizzata a 7.000 metri. Il suo team le ha prestato i primi soccorsi, montando una tenda, lasciando una bombola di gas, cibo e un sacco a pelo prima di cercare aiuto. Le condizioni a questa altitudine, note come “zona della morte” a causa della scarsa ossigenazione e del freddo estremo (fino a -30 °C), hanno reso la sopravvivenza una corsa contro il tempo. Le riprese di un drone del 16 agosto hanno mostrato Nagovitsina che salutava, un segno di vita che alimentava la speranza. Tuttavia, entro il 19 agosto, le sue condizioni erano sconosciute e i successivi tentativi di raggiungerla sono stati vanificati da incessanti tempeste di neve e visibilità zero. Un post di MountainEerDaily ha catturato la disperazione: “Natalia che salutava in quel filmato del drone ci ha dato speranza, ma il tempo sul Victory Peak è una bestia”.
Gli sforzi di salvataggio: una serie di tragedie

Immagine termica di una montagna kirghisa che non mostra segni di vita.
I molteplici tentativi di salvataggio hanno evidenziato gli immensi pericoli del Victory Peak. Il 16 agosto, un elicottero del Ministero della Difesa kirghiso con a bordo sei soccorritori si è schiantato in turbolenza a 4.600 metri, ferendo il pilota e un soccorritore, ma risparmiando miracolosamente delle vite. Un secondo tentativo, effettuato con un elicottero MI-17VM, più adatto alle operazioni in alta quota, è stato abbandonato a causa della fitta nebbia. L’alpinista italiano Luca Sinigaglia, 49 anni, ha eroicamente raggiunto Nagovitsina per consegnare una tenda più calda e rifornimenti, ma è morto per congelamento e ipotermia a 6.900 metri, aggravando la tragedia. Un terzo tentativo, guidato dall’esperto alpinista Vitaly Akimov, è stato interrotto 3.600 piedi più in basso, quando Akimov ha accusato dolori alla schiena a causa del precedente incidente in elicottero. Il 23 agosto, il Ministero delle Situazioni di Emergenza kirghiso ha dichiarato la morte di Nagovitsina, citando l’impossibilità di sopravvivere dopo 11 giorni in tali condizioni. Un post di Climbtheworld esprimeva il suo cordoglio: “Luca Sinigaglia ha dato la vita per Natalia. Questa montagna non appartiene a nessuno”.
L’ultimo volo dei droni e la polemica

Immagine termica di una montagna kirghisa che non mostra segni di vita.
Il 27 agosto, il Comitato Statale per la Sicurezza Nazionale del Kirghizistan ha effettuato un ultimo volo di droni dotati di un sistema di imaging termico. Le immagini sono state devastanti: nessun segno di vita è stato rilevato nella tenda di Nagovitsina. Il Colonnello Generale Kamchybek Tashiev ha dichiarato: “Dopo aver analizzato i dati ottenuti e tenuto conto di una combinazione di fattori, tra cui le condizioni meteorologiche estreme e le caratteristiche del luogo, non è stato rilevato alcun segno di vita”. (). La decisione di interrompere le operazioni, citando la persistente nuvolosità alta, i forti venti e le temperature inferiori a -20 °C, è stata sostenuta dalla Federazione Alpina del Kirghizistan. Il Vicepresidente Ilim Karypbekov ha spiegato: “Le previsioni indicavano che il tempo non sarebbe stato abbastanza stabile per volare. Nessuno sarebbe riuscito a sopravvivere così a lungo”. (). Tuttavia, questa decisione ha suscitato indignazione, in particolare da parte del figlio di Nagovitsina, Mikhail, che ha citato le riprese di un drone del 19 agosto che mostravano sua madre che salutava “piena di forza”. Un post di Savetheclimbers chiedeva: “Come puoi rinunciare se solo pochi giorni fa ti stavi trasferendo? Manda un altro drone!”
L’appello di Mikhail e un’inquietante eredità familiare
Mikhail Nagovitsin, 27 anni, è diventato la voce della speranza e dell’angoscia in questa saga. Il suo commosso appello alle autorità russe per un altro volo con drone riflette la sua fiducia nella resilienza di sua madre. “Sono sicuro che sia viva”, ha detto a Ren TV, citando la sua forma fisica e il suo istinto di sopravvivenza (). La sua angoscia è aggravata da un tragico parallelo: nel 2021, suo padre, Sergei, è stato colpito da un ictus a 6.900 metri sul Khan Tengri. Sfidando gli ordini dei soccorritori, Natalia è rimasta con lui durante una bufera di neve, sopravvivendo ma non riuscendo a salvarlo. Un documentario del 2022, Staying with Khan Tengri , ha catturato la sua determinazione: “Non lascerò mio marito” (). Ora, bloccato sul Victory Peak, ha affrontato un destino simile da solo. L’appello all’azione di Mikhail ha avuto ampia risonanza, con un post di MountainRescue che recita: “Mikhail combatte per sua madre come lei ha combattuto per suo padre. La forza di questa famiglia è irreale”.

L’immagine termica ripresa da un drone non mostra segni di vita su una montagna in Kirghizistan.
Le sfide del soccorso in alta quota
Il Victory Peak, parte della catena del Tian Shan, è una delle scalate più ardue al mondo, senza evacuazioni ad alta quota di successo dal 1955 (). La combinazione di scarsità di ossigeno, venti da uragano e condizioni meteorologiche imprevedibili rende le operazioni di soccorso estremamente pericolose. La Federazione Alpina del Kirghizistan ha osservato che persino i droni più avanzati hanno avuto difficoltà a operare oltre i 7.000 metri e che gli elicotteri hanno dovuto affrontare una visibilità prossima allo zero (). I piloti italiani, spinti dalla loro esperienza, hanno abbandonato i tentativi quando le previsioni del tempo non prevedevano alcun miglioramento (). I critici, tra cui la parlamentare della Federazione Alpina Russa Anna Piunova, hanno sostenuto che la risposta è stata lenta e scarsamente coordinata (). Tuttavia, i difensori della decisione, come il capo del campo base Dmitry Grekov, hanno sottolineato la sfida senza precedenti: “È irrealistico sopravvivere a tale altitudine” (). Un post su Peakpulse affermava: “Le condizioni sul Victory Peak sono infernali. I soccorritori hanno rischiato tutto, ma la natura ha vinto”.

L’immagine termica non mostra segni di vita su una montagna in Kirghizistan.
Il dibattito emotivo ed etico
La storia di Nagovitsina ha scatenato un dibattito più ampio sull’etica del soccorso in alta quota. L’appello di Mikhail per un altro volo con drone solleva interrogativi su quando porre fine alle ricerche in ambienti estremi. I sostenitori sostengono che la storia di sopravvivenza di Nagovitsina giustifichi ulteriori sforzi, soprattutto alla luce delle riprese del 19 agosto. Tuttavia, i critici sottolineano i rischi per i soccorritori, esemplificati dalla morte di Sinigaglia e dall’incidente in elicottero. La decisione delle autorità kirghise di attendere fino alla primavera del 2026 per recuperare i corpi di Nagovitsina e Sinigaglia è stata definita “a sangue freddo” da alcuni su X, con Savetheclimbers che ha scritto: “Abbandonare Natalia è come perdere la speranza”. Altri, come Trespsfe, hanno risposto: “I soccorritori non possono continuare a morire per cause impossibili”. Il dibattito sottolinea il delicato equilibrio tra speranza, rischio e realtà nell’alpinismo.

L’immagine termica non mostra segni di vita su una montagna in Kirghizistan.
La perdita di Natalia Nagovitsina sul Victory Peak è un capitolo straziante negli annali dell’alpinismo. Il suo coraggio, dimostrato sopravvivendo al Khan Tengri nel 2021 e resistendo per 15 giorni nella zona della morte, non è riuscito a superare le brutali condizioni della vetta più alta del Kirghizistan. I falliti tentativi di salvataggio, segnati dal sacrificio di Luca Sinigaglia e dalla caduta di un elicottero, evidenziano la natura spietata dell’alpinismo in alta quota. Mentre l’appello di Mikhail Migovitsina per ulteriori ricerche trova eco in coloro che si aggrappano alla speranza, la decisione delle autorità kirghise riflette la triste realtà delle condizioni del Victory Peak. La storia di Natalia, intrecciata con la tragica eredità della sua famiglia, è un toccante promemoria dei rischi che gli scalatori corrono e del profondo amore che li guida. Cosa ne pensi? Le ricerche avrebbero dovuto continuare o la decisione è stata quella di interromperle?

Alpinista che riposa vicino a un segnavia di vetta.